Alla prima domanda hanno già
risposto due autori ben noti: il Musoni ed Adriano Augusto Michieli.
Alla seconda tenteremo noi di dare esauriente risposta.
Il Musoni nel suo pregevole saggio di
geografia disica e di antropogeografia “Il Bacino Plavense”
ha esaminato i tre problemi che si riferiscono all'argomento e cioè:
se il Piave fosse
l'Anasso di Plinio
se il medesimo
corresse un tempo per la Sella del Fadalto
se da ultimo fosse
una cosa sola col Sile
Sul primo punto egli ha osservato che
Plinio nell'enumerare i fiumi e luoghi della regione veneta,
procedette con ordine da Ponente a Levante e poiché
nell'ordine da lui esposto corrispondono luoghi e paesi, non v'è
ragione per dare diversa interpretazione a ciò che è
stato scritto e da cui risulta che l'Anasso, del quale non v'è
certezza del nome odierno (forse il Stella) era situato sulla
sinistra del tagliamento.
Sorvoliamo sul secondo punto già
superato dai geologi e passiamo al terzo
Il Musoni ritenne che tanto il Sile
quanto il Piave nei tronchi superiori scorressero in alveo proprio,
ben distinto e separato, ma non esclude che verso la foce si
confondessero in un corso unico cosi' come oggi, per opera dell'uomo,
si confondono allo sbocco gli alvei del Brenta, Bacchiglione e
Gorzone e quelli del Sile e Piave Vecchia.
E poiché Plinio ha considerato i
fiumi veneti in corrispondenza al loro sblocco al mare, nominandone i
porti, non può escludersi che abbia designato col solo nome
del Sile i due fiumi Piave e Sile che scorrevano probabilmente nel
tratto terminale in un unico alveo e che potevano benissimo
localmente avere il solo nome del Sile. Ma una dimostrazione sicura
di tale unione non è stata data in base ad elementi geofisici
o storici per ciò il Musoni ammette la discutibilità di
questa sua ipotesi e conclude:
In tal caso il silenzio di Plinio nei
riguardi del fiume Piave sarebbe una semplicissima omissione, analoga
a quella relativa all'Isonzo; omissioni che non devono farci
meraviglia poiché non solo Plinio e gli altri geografi del
tempo antico, ma ben spesso gli stessi moderni sono avvezzi ad
incorrere in inesattezze ben più gravi.
Il prof. Michieli autore di pregevoli
studi storico geografici e di memorie su alcuni fiumi veneti, in un
articolo intitolato “Il sile di Plinio e la soluzione di un
vecchio problema” ha completato con alcune sagge considerazioni
la ipotesi del Musoni che i due fiumi scorressero presso la foce in
un unico letto.
Egli dopo aver ricordato che tanto il
Taramelli quanto il Sacco, constatarono la presenza di due
marcatissime conoidi di deiezione una ad Est e l'altra ad Ovest del
Montello, osservò come da concorde tradizione risulti che
anticamente il Sile sfociava per sette bocche, fatto che sarebbe
logico per un grande fiume e non per un piccolo corso di risorgiva
quale è il Sile,che porta acque chiare e che non va soggetto a
forti piene.
Inoltre questo fiume, che per sua
natura non trasporta materiali detritici, scorre su un letto di
ciottoli e ghiaie che appartengono tanto dal lato mineralogico come
da quello petrografico alle montagne dell'altra e media valle del
Piave, comprendendo anche però pochi esemplari di rocce
tipiche del Cordevole ed anche del Brenta.
Altri fatti da considerare sono che ad
Augusta Lagozza il Sile era attraversato da un ponte romano
lunghissimo e adatto ad un grande corso d'acqua e che le condizioni
topografiche del territorio compreso fra Sile e Piave si presentano
benissimo a condurre il secondo nel primo come lo dimostrano gli
attuali canali Piavesella, Brentella di Pederobba e della Vittoria
che derivano acque dal Piave e le trasportano verso Treviso ed in
parte nel Sile.
I ricordi ed i fatti concorrono secondo
il Michieli a ritenere per certo che Piave e Sile, pur essendo due
diversi fiumi, sboccassero in un unica foce per cui sarebbe
giustificato il silenzio di Plinio.
E' logico supporre che in periodi
storici dove il fiume non era provvisto di opere idrauliche a difesa
dalle inondazioni le disalveazioni del fiume e lo scarico nel vicino
Sile delle sue acque di piena e delle ghiaie e sabbie trasportate
siano state molto frequenti e intense.
Il Piave ha quindi esercitato per
millenni un incontrastato dominio su questo territorio, costituendo
la vasta ed imponente conoide orientale nella quale ha divagato
durante le frequenti sue crisi di escrescenza scaricandosi nel Sile,
che fu il naturale collettore delle acque di esndazione, attraverso
alvei che tutt'ora esistono quali il Bottenigo ed il Piavesella ed
altri che saranno stati colmati da successive alluvioni.
E' quindi naturale e logico che
numerose traccie delle invasioni Plavensi nel territorio Trevisano
rimangano e fossero anche maggiormente evidenti in superficie nel
passato, quando ben scarse erano le trasformazioni fondiarie operate
in seguito all'insediamento umano.
Così pure facilmente spiegabile
il fatto, apparso strano agli antichi scrittori, che l'alveo del Sile
fosse sproporzionato ai suoi deflussi. Se da questo fiume defluivano
oltre alle acque proprie di piena anche quelle provenienti in modo
disordinato dal Piave, è naturale che nel corso del tempo il
letto fluviale si sia conformato e modellato in relazione alle
portate da scaricare, ed è anche altrettanto intuibile che il
Sile, non potendo in alcuni casi contenere nel suo alveo tutte le
acque di piena, abbia disalveato creandosi nuovi letti e sfociando in
più rami.
Così è pure spiegato nel
modo più semplice e logico il fatto che il Sile pur essendo
originato ed alimentato da acque sorgive prive di torbide, scorra in
un letto di ghiaie, le quali hanno la costituzione tipica delle rocce
del Piave,e come il Sile stesso abbia potuto interrare con la
deposizione di torbide il bacino lagunare di Torcello e Mazzorbo si
da rendere necessaria la espulsione della sua foce dalla laguna.
Concludendo, noi siamo convinti che
nessuna importante trasformazione fisica naturale del corso del Piave
sia avvenuta nei tempi storici.
Il fiume nei suoi tronchi di pianura e
nelle fasi di piena ha divagato durante gli antichi tempi sulla
sinistra e specialmente sulla destra del letto principale in cui si
ritirava durante la magre normale; e non è improbabile (anzi
ammissibile) che nel tronco prossimo alla foce abbia potuto in alcune
epoche invadere altri alvei e ripartirsi in più rami di sfocio
abbandonando temporaneamente il suo letto principale.
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